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Morire e far morire dal ridere

di Armando Massarenti

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17 ottobre 2009


«E adesso qualcosa di completamente diverso», dicevano negli anni Settanta i Monthy Python, geniali comici inglesi, tra uno sketch e l'altro. Noi invece attraverso di loro continuiamo a occuparci dell'effetto «legarsi le mani» introdotto domenica scorsa. Perché proprio loro, senza volerlo, ne hanno inventata una versione interessante, problematica, da cui vorrei ricavare un piccolo esercizio filosofico. La gag inizia con uno scrittore che, ai tempi della Seconda guerra mondiale, sta vergando di suo pugno un breve componimento. «Questo signore, guardatelo attentamente – dice la voce fuori campo –, sta partorendo la barzelletta più divertente del mondo. La barzelletta più divertente che sia mai stata scritta. Ma, attenzione!, questa barzelletta ha una particolarità micidiale: fa morire dal ridere». Poco dopo lo scrittore, rileggendo il suo stesso testo, comincia a ridere, si sganascia e muore. Resta lì, rovesciato con la pagina tra le mani. La madre entra, alza le braccia al cielo, convinta che si sia suicididato. Prende il foglietto pensando di leggere le motivazioni del drammatico gesto. Legge. Ride. Muore. E così via un certo numero di poliziotti, finché la casa non viene isolata, si studia il problema e si capisce di che si tratta: di barzelletta irresistibile, che uccide chiunque la legga. Dunque bisogna analizzarla. Evitando di leggerla, ovviamente. Ma l'Intelligence inglese fa ancora di più. La traduce a pezzetti in tedesco, la fa ricomporre da elementi dell'esercito che non sanno il tedesco, e infine la fa leggere ad alta voce dai soldati inglesi lungo le linee nemiche. L'effetto è notevole. Si vedono i tedeschi alzarsi, ridere a crepapelle – appunto – e quindi morire come mosche, mentre i soldati inglesi restano illesi perché non capiscono il contenuto di ciò che vanno leggendo. Problema: non è questo un bell'esempio di quella razionalità indiretta il cui esempio più famoso resta quello di Ulisse alle prese con le sirene? L'esercizio non è solo rispondere sì o no – neppure io sono sicuro della risposta – ma provare a immaginare altre situazioni, nella vita reale, in cui facciamo qualcosa mettendoci al riparo dai danni che essa potrebbe arrecarci.

armando.massarenti@ilsole24ore.com

17 ottobre 2009
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